Le agenzie di rating “non sono istituti di ricerca imparziali” ma “hanno i loro interessi” e svolgono il loro ruolo “molto in linea con il capitalismo finanziario americano”. Lo ha detto
il vicepresidente della Commissione Ue Olli Rehn commentando l’ondata di abbassamenti da parte di Standard & Poor’s, in un’intervista alla Tv del suo paese, la Finlandia. Olli Rehn non parla certo a caso. Perché è vero: le agenzie di rating sono controllate da privati. Per lo più americani. E il comportamento degli ultimi mesi solleva qualche lecito dubbio.
il vicepresidente della Commissione Ue Olli Rehn commentando l’ondata di abbassamenti da parte di Standard & Poor’s, in un’intervista alla Tv del suo paese, la Finlandia. Olli Rehn non parla certo a caso. Perché è vero: le agenzie di rating sono controllate da privati. Per lo più americani. E il comportamento degli ultimi mesi solleva qualche lecito dubbio.
Ma andiamo con ordine. Le tre agenzie di rating internazionali Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch sono per definizione indipendenti. E non regolamentate. Di fatto, però, proprio autonome non sono. Se non altro perché controllate da privati.
DI CHI SONO LE AGENZIE DI RATING. Standard&Poor’s batte bandiera americana. È controllato da McGraw-Hill, un colosso di servizi finanziari, e partecipato dal gestore di fondi Capital World Investors, dalle società di gestione e investimento State Street e BlackRock, dalla finanziaria Fidelity Investments e da Vanguard Group, società che gestisce circa 1.600 miliardi di dollari.
Il primo azionista di Moody’s, invece, è il finanziere americano Warren Buffett con il suo fondo Berkshire Hathaway. Compaiono poi Capital World Investors, ValueAct Capital, T. Rowe, Vanguard, State Street e BlackRock, tutte società di investimento e gestione del risparmio.
Fitch, invece, è per metà europea e per metà americana. Il 60% della terza agenzia di rating è controllato dalla società di servizi finanziari francese Fimalac, il 40% dal gruppo Usa Hearst.
IL LORO RUOLO. “Che siano controllate da privati è qualcosa che si sa da sempre” taglia corto Stefano Caselli, economista dell’Università Bocconi di Milano. “Non bisogna oggi alzare un polverone su qualcosa che tutti sanno da tempo. Stesso discorso vale in merito al tema della loro assoluta non-regolamentazione, anch’essa nota a tutti da sempre”.
Come dire: inutile lamentarsi oggi per qualcosa che si sapeva. E a cui non è stato posto rimedio.
“È indubbio che le agenzie di rating, per chi ha sostenuto una logica di mercato di tipo liberista, hanno sempre rappresentato un tassello importante e utile nel far funzionare e stimare i mercati” aggiunge Caselli. “In questo momento tutto ciò non è cambiato. A cambiare è il contesto e il timing, ovvero il tempismo con cui le agenzie stanno intervenendo”.
Il CONTESTO STRAORDINARIO. Il contesto che stiamo vivendo, inutile dirlo, è straordinario. È la prima volta nella storia che tanti debiti pubblici in tanti Paesi contemporaneamente sono oggetto di speculazione. Per questo le agenzie devono pronunciarsi sempre più spesso assumendo unaresponsabilità economica e sociale sempre più rilevante.
“È normale che ci si cominci a interrogare sui loro reali obiettivi come ha fatto Olli Rehn, e che si aprano dei punti interrogativi sull’esistenza o meno di conflitti di interesse rispetto ai loro azionisti e sulla loro eventuale imparzialità” dice Caselli.
LA REGOLAMENTAZIONE. Soluzione? “Le agenzie di rating devono essere regolamentate come una banca. Devono essere vigilate, devono diventare oggetto di ispezione e sottoposte a regole certe”. Altrimenti dubitare sulla loro reale imparzialità, come ha fatto oggi Rehn, sarà sempre più lecito.
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