Prodi fa declassare l’Italia dall’agenzia di rating cinese. Ora le imprese italiane costano meno.
“Il problema è serio.
Ci sono tre agenzie di rating che hanno azionisti precisi e rispondono ad un ambiente e ad un clima ben preciso dominando i nostri mercati finanziari con i loro giudizi sugli Stati e sulle imprese. E non c’è un’azione per bilanciare e pareggiare questa influenza”. Rieccolo Romano Prodi, che in un’intervista a Radio24, questa volta ha affrontato il tema delle agenzie di rating dopo il declassamento di Standard & Poor’s, suggerendo alcuni rimedi: “Primo, che qualche struttura europea o cinese o turca si mettano sul mercato; poi che il Fondo Monetario Internazionale si renda conto che non possiamo lasciare i voti soltanto a tre agenzie-imprese. Che cosa ne sanno i ragazzi di S&P sulle finezze della politica italiana? Li ho incontrati molte volte questi bravi funzionari di queste società di rating e dovevo spiegargli le cose. Non erano di certo dei raffinati analisti politici (si riferisce alla nefandezza del governo tecnico, una rinuncia alla legalità costituzionale che gli americani non capiranno mai, ndr)”. Il voto delle tre sorelle del rating è dunque per lui ben al di sotto della sufficienza con zero in condotta. A noi piacerebbe chiedere al professor Prodi perché non ha criticato così duramente le bastonate arrivate dalla stessa “triade” quando al governo c’era Silvio Berlusconi e non l’amico Mario Monti. Ma soprattutto vorremo invitarlo a spiegare agli italiani a quale titolo sta lanciando il suo ultimo sermone. Lo fa forse in qualità consulente superpagato dell’agenzia cinese Dagong con cui collabora da tempo? In questo caso il conflitto di interesse, appare evidente. Soprattutto quando Prodi incalza sull’apertura del mercato del rating, inneggiando all’intervento di qualche struttura, magari, guarda caso, cinese.Intanto, e questo è molto sospetto sul ruolo vero di Prodi, i cinesi hanno contribuito a demolire la già scarsa reputazione finanziaria del nostro Paese sui mercati internazionali. Il 7 dicembre scorso, infatti, Dagong ha tagliato il giudizio sul debito sovrano dell’Italia a “BBB” dal precedente “A-” con outlook negativo. Allora qual è il senso dell’intervento di Prodi se la Dagong si comporta come gli americani? È stata la prima a spedirci sotto il voto “A” anticipando (come aveva già fatto per gli Usa) le mosse di Standard&Poor’s che nei giorni precedenti aveva messo sotto osservazione i rating dei Paesi dell’Eurozona. Quattro i motivi della sforbiciata elencati dagli analisti con gli occhi a mandorla: il quadro politico, definito dagli stessi analisti “ad interim”, che ha varato riforme che non portano su un sentiero di crescita. Seconda ragione: il Pil nel 2012 è previsto in calo dello 0,7%. Terza: un comparto bancario deteriorato per il quale si richiedono forti interventi di rifinanziamento dettati dall’Europa. Infine l’impossibilità, secondo l’agenzia, del raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 come anche l’obiettivo di ridurre il rapporto deficit/Pil al di sotto del 3% nel medio periodo. Tradotto: l’Italia è ormai al di fuori del giro dei grandi paesi europei, e deve prepararsi alla recessione. Esattamente le stesse ragioni addotte da S&P per declassare l’Italia, la quale S&P anzi è stata più possibilista sulle prospettive di ripresa del nostro Paese. Allora? Il conflitto di interesse di Prodi appare evidente se si ricorda che Dagong ha iniziato a pubblicare voti sul debito sovrano di numerosi Paesi nel luglio 2010, proprio con l’obiettivo dichiarato di porsi come voce alternativa a Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s, avvelendosi anche della consulenza del prof bolognese. Va evidenziato che in patria l’agenzia è tutt’altro che autorevole e fa i conti con quotidiani e accademici che la accusano di chiudere un occhio sulla debolezza di società nazionali e di alcune compagnie d’investimento gravate da pesanti sospetti di insolvenza. Però, a Pechino le posizioni di Prodi favorevoli a un maggior coinvolgimento della Cina su scala globale trovano parecchia attenzione. Lo scorso 14 settembre l’ex premier ha incontrato privatamente l’attuale vice primo ministro e futuro primo ministro Li Keqiang, personaggio determinante per la politica cinese accanto a Xi Jinping, che sarà il futuro presidente della Cina e che è venuto in Italia all’inizio di giugno.
La sera prima, sempre in via riservata, Prodi aveva cenato privatamente con il vice governatore della China Development Bank, Gao Jian. Non solo. Nei giorni precedenti l’ex premier italiano era stato ampiamente citato in prima pagina del China Daily, uno dei quotidiani più autorevoli del Paese, come punto di riferimento della strategia di crescita internazionale cinese, servendosi anche della Dagong. Il professore è così diventato l’interlocutore privilegiato di Pechino, unico europeo invitato a tenere corsi alla scuola del Partito comunista cinese, l’amico italiano insomma. Abile ed arruolato nell’Armata Rossa del rating, ma non per contrastare il giudizio delle tre sorelle del rating, bensì per aiutare i cinesi a comprarsi imprese italiane a prezzi di saldo, tra le quali l’ultima in ordine di tempo è stata la Ferretti, l’azienda nautica vanto del made in Italy ora passata ai cinesi. Predica bene, ma razzola malissimo il mortadella, ma soprattutto tradisce il Paese che ha avuto la sfortuna di avergli dato i natali. Per questo, al di là di ipocrite e finte argomentazioni di sdegno per le agenzie americane, a lui il declassamento dell’Italia va non bene, ma benissimo, per i suoi loschi affari in dispregio degli interessi nazionali. Ne è fiero prof?
Ci sono tre agenzie di rating che hanno azionisti precisi e rispondono ad un ambiente e ad un clima ben preciso dominando i nostri mercati finanziari con i loro giudizi sugli Stati e sulle imprese. E non c’è un’azione per bilanciare e pareggiare questa influenza”. Rieccolo Romano Prodi, che in un’intervista a Radio24, questa volta ha affrontato il tema delle agenzie di rating dopo il declassamento di Standard & Poor’s, suggerendo alcuni rimedi: “Primo, che qualche struttura europea o cinese o turca si mettano sul mercato; poi che il Fondo Monetario Internazionale si renda conto che non possiamo lasciare i voti soltanto a tre agenzie-imprese. Che cosa ne sanno i ragazzi di S&P sulle finezze della politica italiana? Li ho incontrati molte volte questi bravi funzionari di queste società di rating e dovevo spiegargli le cose. Non erano di certo dei raffinati analisti politici (si riferisce alla nefandezza del governo tecnico, una rinuncia alla legalità costituzionale che gli americani non capiranno mai, ndr)”. Il voto delle tre sorelle del rating è dunque per lui ben al di sotto della sufficienza con zero in condotta. A noi piacerebbe chiedere al professor Prodi perché non ha criticato così duramente le bastonate arrivate dalla stessa “triade” quando al governo c’era Silvio Berlusconi e non l’amico Mario Monti. Ma soprattutto vorremo invitarlo a spiegare agli italiani a quale titolo sta lanciando il suo ultimo sermone. Lo fa forse in qualità consulente superpagato dell’agenzia cinese Dagong con cui collabora da tempo? In questo caso il conflitto di interesse, appare evidente. Soprattutto quando Prodi incalza sull’apertura del mercato del rating, inneggiando all’intervento di qualche struttura, magari, guarda caso, cinese.Intanto, e questo è molto sospetto sul ruolo vero di Prodi, i cinesi hanno contribuito a demolire la già scarsa reputazione finanziaria del nostro Paese sui mercati internazionali. Il 7 dicembre scorso, infatti, Dagong ha tagliato il giudizio sul debito sovrano dell’Italia a “BBB” dal precedente “A-” con outlook negativo. Allora qual è il senso dell’intervento di Prodi se la Dagong si comporta come gli americani? È stata la prima a spedirci sotto il voto “A” anticipando (come aveva già fatto per gli Usa) le mosse di Standard&Poor’s che nei giorni precedenti aveva messo sotto osservazione i rating dei Paesi dell’Eurozona. Quattro i motivi della sforbiciata elencati dagli analisti con gli occhi a mandorla: il quadro politico, definito dagli stessi analisti “ad interim”, che ha varato riforme che non portano su un sentiero di crescita. Seconda ragione: il Pil nel 2012 è previsto in calo dello 0,7%. Terza: un comparto bancario deteriorato per il quale si richiedono forti interventi di rifinanziamento dettati dall’Europa. Infine l’impossibilità, secondo l’agenzia, del raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 come anche l’obiettivo di ridurre il rapporto deficit/Pil al di sotto del 3% nel medio periodo. Tradotto: l’Italia è ormai al di fuori del giro dei grandi paesi europei, e deve prepararsi alla recessione. Esattamente le stesse ragioni addotte da S&P per declassare l’Italia, la quale S&P anzi è stata più possibilista sulle prospettive di ripresa del nostro Paese. Allora? Il conflitto di interesse di Prodi appare evidente se si ricorda che Dagong ha iniziato a pubblicare voti sul debito sovrano di numerosi Paesi nel luglio 2010, proprio con l’obiettivo dichiarato di porsi come voce alternativa a Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s, avvelendosi anche della consulenza del prof bolognese. Va evidenziato che in patria l’agenzia è tutt’altro che autorevole e fa i conti con quotidiani e accademici che la accusano di chiudere un occhio sulla debolezza di società nazionali e di alcune compagnie d’investimento gravate da pesanti sospetti di insolvenza. Però, a Pechino le posizioni di Prodi favorevoli a un maggior coinvolgimento della Cina su scala globale trovano parecchia attenzione. Lo scorso 14 settembre l’ex premier ha incontrato privatamente l’attuale vice primo ministro e futuro primo ministro Li Keqiang, personaggio determinante per la politica cinese accanto a Xi Jinping, che sarà il futuro presidente della Cina e che è venuto in Italia all’inizio di giugno.
La sera prima, sempre in via riservata, Prodi aveva cenato privatamente con il vice governatore della China Development Bank, Gao Jian. Non solo. Nei giorni precedenti l’ex premier italiano era stato ampiamente citato in prima pagina del China Daily, uno dei quotidiani più autorevoli del Paese, come punto di riferimento della strategia di crescita internazionale cinese, servendosi anche della Dagong. Il professore è così diventato l’interlocutore privilegiato di Pechino, unico europeo invitato a tenere corsi alla scuola del Partito comunista cinese, l’amico italiano insomma. Abile ed arruolato nell’Armata Rossa del rating, ma non per contrastare il giudizio delle tre sorelle del rating, bensì per aiutare i cinesi a comprarsi imprese italiane a prezzi di saldo, tra le quali l’ultima in ordine di tempo è stata la Ferretti, l’azienda nautica vanto del made in Italy ora passata ai cinesi. Predica bene, ma razzola malissimo il mortadella, ma soprattutto tradisce il Paese che ha avuto la sfortuna di avergli dato i natali. Per questo, al di là di ipocrite e finte argomentazioni di sdegno per le agenzie americane, a lui il declassamento dell’Italia va non bene, ma benissimo, per i suoi loschi affari in dispregio degli interessi nazionali. Ne è fiero prof?
Nessun commento:
Posta un commento